Parto

Tutto ciò che c’è da sapere sul parto

Tra le esperienze più belle, emozionanti e delicate che una donna può vivere nel corso della sua vita rientra indubbiamente il parto: dopo circa 9 mesi di gravidanza, durante la quale ha portato in grembo il suo bambino, può finalmente darlo alla luce e tenerlo tra le sue braccia.

Il parto, quindi, è il momento in cui il bambino esce dall’utero materno; inizia quando insorgono le prime contrazioni uterine irregolari e costanti, che vanno ad aumentare sia per intensità, sia per frequenza. Nel frattempo, il collo uterino si dilata e diventa più sottile; non appena raggiunge i 10 centimetri di dilatazione, la donna incinta inizia a spingere per facilitare l’uscita del bambino, seguita da quella della placenta, cioè l’organo che fornisce cibo e ossigeno al feto nel corso della gravidanza.

In cosa consiste il parto?

Nel momento in cui iniziano le contrazioni, la donna incinta deve recarsi in ospedale, dove riceverà tutte le cure mediche necessarie. Può capitare di dover ricorrere a farmaci quali ossitocina o anestetici, soprattutto quando sorgono complicazioni da ritardo.

La condizione ideale è data dal parto naturale, quindi quando il bambino nasce spontaneamente dalla vagina della madre senza il supporto di farmaci o strumenti; tuttavia, se il bambino non si trova nella posizione corretta o fa fatica a uscire è necessario eseguire delle manovre o utilizzare delle pinze.

In casi estremi si ricorre al parto cesareo, che consiste in una procedura chirurgica con la quale si pratica un’incisione sull’addome e un’altra sull’uretra in modo da estrarre il bambino. Le incisioni vengono poi richiuse con punti di sutura e richiedono medicazioni e visite di controllo post partum.

Le fasi del parto

Il parto è, quindi, un momento tanto emozionante quanto spaventoso; ogni mamma lo affronta in modo diverso ma, con il supporto di un’equipe medica qualificata e del compagno, si è quasi sempre in grado di creare un clima sereno e disteso.

Secondo una classica suddivisione, il parto sarebbe composto da 4 fasi:

  1. prodromico;
  2. dilatante;
  3. espulsivo;
  4. di secondamento.

Altri sistemi di classificazione individuano solo 3 fasi, perché uniscono le fasi dilatanti ed espulsiva in un unico procedimento. Eccole più nel dettaglio:

Fase prodromica del parto

La fase prodromica riguarda la preparazione al parto, durante la quale i tessuti della mamma si preparano – appunto – al passaggio e all’uscita del bambino. Può durare da poche ore a qualche giorno ed è difficile individuarne l’inizio, perché non sempre si manifesta con sintomi ben precisi; talvolta, capita che passi totalmente inosservato, oppure è accompagnato da contrazioni preparatorie irregolari, più o meno intense, ma sopportabili.

In questa fase il collo dell’utero si appiana, si accorcia e si assottiglia fino ad assumere l’aspetto di un disco sottile, molto simile a quello di un’arancia per essere più precisi, ideale per dare il via alla dilatazione.

Fase dilatante del parto

La fase dilatante coincide con l’inizio del travaglio, quindi il momento in cui è necessario recarsi in ospedale o avvertire l’ostetrica nel caso in cui si desiderasse un parto in casa o a domicilio. Le contrazioni diventano più regolari e dolorose, di conseguenza la partoriente deve attendere che il bambino sia pronto per venire al mondo. Nell’attesa, può restare in camera e fare tutto ciò che le permette di favorire la dilatazione, alleviare il dolore e distrarsi.

I tempi richiesti sono variabili e dipendono da diversi fattori, come le caratteristiche materne (struttura fisica e forma del canale del parto) e le caratteristiche del feto (dimensioni e posizione), così come il luogo in cui si partorisce e le modalità di assistenza. Anche l’aspetto psicologico gioca un ruolo fondamentale.

A seguito delle contrazioni, il collo dell’utero si dilata progressivamente fino a quella che viene considerata la dilatazione completa, cioè 10 centimetri; nel frattempo, la testa del bambino scende verso il canale del parto.

Fase espulsiva del parto

La fase espulsiva corrisponde al momento in cui il bambino percorre il canale del parto per uscire, finalmente, dal corpo della mamma. Poco prima avviene la latenza, una sorta di pausa di riposo prima dello sprint finale; durerebbe circa mezz’ora, in cui le contrazioni si fermano e il travaglio si blocca, ma il bambino continua imperterrito il suo percorso.

A termine della latenza, la partoriente avverte l’esigenza di spingere e deve farlo se vuole mettere al mondo il suo bambino. Per agevolarsi, può assumere la posizione che preferisce.

Anche la durata di questa fase è molto variabile: se si tratta del primo parto e non ci sono segni di sofferenza fetale si può aspettare fino a due ore, che aumentano a tre se si è fatto ricorso all’epidurale, mentre i parti successivi sono generalmente più veloci.

Con le spinte della mamma, il bambino scende lungo il canale del parto flettendo la testa per ridurre al minimo le sue dimensioni e uscire agilmente. Non appena la testa sbuca fuori dalla vagina, basta un’ultima rotazione di circa 45° per lasciare definitivamente il corpo materno.

Fase di secondamento

Infine, la fase di secondamento, cioè la parte finale, si compone a sua volta di altre tre fasi:

  • clampaggio: dopo la nascita si recide il cordone ombelicale tramite clampaggio;
  • secondamento: cioè l’espulsione della placenta, che avviene nell’arco di 15-20 minuti. Se ciò non avviene bisogna estrarla manualmente, in sala operatoria e con anestesia generale;
  • eventuale sutura: espulsa la placenta, si può procedere con la sutura di eventuali lacerazioni.

Nel corso di questa fase, a meno che non insorgano complicazioni, la mamma può finalmente conoscere il suo bambino, che le viene poggiato sul petto in attesa di essere visitato, pulito e accuratamente vestito.

Solitamente, terminato tutto, la mamma rimane in sala parto da sola con il neonato per un paio d’ore: si tratta di un momento molto importante sia dal punto di vista fisico (l’utero si ridimensiona), sia psicologico e affettivo (si crea un legame indissolubile tra i due).

Tipologie di parto

Ogni mamma immagina il momento del parto nel corso della gravidanza e la sua prima (e forse) unica speranza è che vada tutto bene sia per lei, che per il bambino. Certo, le complicanze possono insorgere in qualunque momento e, per fortuna, il personale medico-sanitario è in grado di intervenire, ma l’augurio è che fili tutto liscio.

I tipi di parto, quindi, possono essere diversi a seconda sia di eventuali complicazioni che possono presentarsi in corso d’opera, sia in base alle scelte effettuate precedentemente dalla madre stessa. Ecco i principali:

Parto naturale (o eutocico)

Il parto naturale è la tipologia fisiologica e spontanea con la quale il bambino viene al mondo per via vaginale senza il supporto di farmaci o strumenti (come la ventosa ostetrica che, aderendo alla testa del bambino, ne facilita l’uscita). Si tratta, quindi, di un parto che non richiede il ricorso né al taglio cesareo, né all’induzione.

Il pensiero comune è che il parto naturale sia meno doloroso rispetto alle altre tipologie, ma questa considerazione non ha alcun fondamento scientifico; sicuramente è tra i parti più intensi, ma il dolore è molto soggettivo e varia da persona a persona.

Per fortuna, al giorno d’oggi è possibile alleviare il dolore delle madri grazie all’epidurale, in grado di eliminare quasi del tutto la sofferenza provocata dalle contrazioni uterine e, di conseguenza, di permettere alla donna di rimanere lucida e cosciente per vivere al meglio un momento così importante.

I vantaggi del parto naturale

Bisogna partire dal presupposto che partorire naturalmente è sempre meglio, ma i vantaggi del parto naturale sono tantissimi sia per la mamma, che per il nascituro. Dal punto di vista psicologico, secondo gli studi, ogni mamma può avere un duplice atteggiamento nei confronti di questo momento: propositivo e positivo o, al contrario, negativo e timoroso. Tenendo conto di questo, il papà ricopre un ruolo fondamentale, perché deve essere una figura di supporto e incoraggiamento nei confronti della compagna.

Al contempo, anche le figure medico-sanitarie sono fondamentali: se si approcciano alla futura madre con un sorriso e con parole di conforto, il parto avverrà in un’atmosfera più piacevole e rilassante.

Una donna che partorisce in modo naturale acquista autostima e soddisfazione. Da non sottovalutare il lato fisico, poi: rispetto a un parto cesareo, per esempio, il parto naturale comporta una ripresa più rapida e una maggiore probabilità di poter allattare anche a lungo.

Per quanto riguarda il bambino, invece, quando viene al mondo in modo naturale, il suo torace di schiaccia, i polmoni si “strizzano” e si ripuliscono dal liquido amniotico e, di conseguenza, sono già pronti per respirare. Nel frattempo, il suo patrimonio di probiotici si arricchisce.

Gli svantaggi del parto naturale

Gli svantaggi del parto naturale sono collegati principalmente a due fattori: eventuali rischi e dolore. Molte donne, infatti, nonostante partano cariche di buone propositi e convinte di voler affrontare un parto vaginale, alla fine si fanno prendere dallo sconforto e richiedono un parto cesareo. Quest’ultimo, però, è pur sempre un intervento chirurgico che può comportare non solo complicazioni, ma anche una ripresa più lunga rispetto a quella prevista a seguito di un parto naturale.

Le complicazioni, invece, che si possono verificare nel corso di un parto naturale possono essere diverse:

  • un travaglio prolungato;
  • strappi perineali;
  • emorroidi;
  • sofferenza fetale;
  • infezioni del canale del parto;
  • necessità di indurre il parto;
  • utilizzo di strumenti;
  • secondamento manuale.

Si tratta, però, di condizioni che si possono non solo monitorare, ma anche risolvere facilmente, quindi ogni futura mamma deve tenere bene a mente che, per quanto possa spaventare, il parto naturale si rivela sempre e comunque l’opzione migliore per lei e per il suo bambino.

Parto assistito

Il parto assistito si esegue quando, per svariate ragioni, è necessario ricorrere al supporto di una ventosa ostetrica o di un forcipe. La prima consiste in una piccola tazza simil gommosa collegata a un aspiratore, che viene inserita nella vagina e si attacca alla testa del bambino; se risulta inefficace, allora si procede con un parto cesareo. Tendenzialmente la ventosa non provoca ematomi sul cranio o sanguinamento negli occhi del feto, ma aumenta il rischio di distocia della spalla e di ittero.

Il forcipe è uno strumento chirurgico metallico con bordi arrotondati che si adattano perfettamente alla testa del bambino. Di norma, non provoca ematomi al bambino o lacerazioni del perineo della mamma.

Il ricorso a un parto assistito avviene nei seguenti casi:

  • sofferenza fetale;
  • la mamma non riesce a spingere adeguatamente;
  • travaglio prolungato;
  • la mamma presenta un disturbo, magari a carico del cuore o del cervello, per il quale è
  • sconsigliato eseguire spinte vigorose.

I rischi del parto assistito

A livello pratico, il parto assistito non comporta particolari rischi, purché venga eseguito rispettando determinati requisiti, come la dilatazione completa, il giusto posizionamento del feto e un’eccellente preparazione medica. Rispetto a un parto naturale, nella maggior parte dei casi, non richiede l’episiotomia e non causa lacerazioni. Tendenzialmente non si ricorre nemmeno all’anestesia e non si rivela pericoloso per il bambino. Le uniche conseguenze potrebbero essere:

  • ematomi sulla testa;
  • sanguinamento negli occhi;
  • distocia della spalla;
  • ittero.

La ventosa ostetrica è uno strumento che viene utilizzato in pochissimi casi, cioè quando il travaglio si trova a un punto di arresto, la mamma è esausta e il bambino mostra sofferenza. In ogni caso, è una pratica sicura e quasi priva di rischi e, nel caso in cui il bambino dovesse mostrare i segni precedentemente elencati, si risolvono molto velocemente.

Parto indotto

L’opzione del parto indotto viene presa in considerazione quando il travaglio stenta a iniziare e non si verificano contrazioni. In particolare si rivela necessario quando:

  • le ultime ecografie evidenziano una scarsa quantità di liquido amniotico;
  • la donna è affetta da patologie (ipertensione e malattie renali) che possono compromettere la salute della placenta;
  • la gravidanza è oltre le 40 settimane;
  • il parto non inizia nonostante il sacco amniotico si sia rotto da oltre 24-48 ore.

Per indurre il parto si può ricorrere a due metodi:

  • applicazione di un gel a base di prostaglandine: è un metodo indolore e sicuro sia per la madre, che per il bambino. Si inserisce nella vagina tramite una siringa priva di ago e dovrebbe avviare il parto entro le 6-8 ore successive; se ciò non accade si ripete l’operazione;
  • utilizzo di ossitocina sintetica via endovena: si tratta dell’ormone che, prodotto dall’ipofisi durante il travaglio, origina le contrazioni uterine. Questo metodo si esegue solitamente quando il primo non dà alcun risultato.

Il parto indotto è, apparentemente, più lungo rispetto al parto naturale e il motivo risiede nel fatto che l’utero necessita di più tempo per dilatarsi, anche 24 ore. In realtà, il parto naturale ha una durata molto simile, quindi su questo non sussistono grandi differenze.

I rischi del parto indotto

Il rischio principale che un parto indotto comporta è la necessità di dover ricorrere alla somministrazione di farmaci, anche dell’analgesia epidurale. Inoltre, a seguito dell’induzione, è altamente probabile l’esigenza di compiere manovre operative finalizzate a facilitare la nascita. Infine, è anche possibile dover optare, alla fine, per un taglio cesareo.

Parto distocico

Si parla di parto distocico quando sia la mamma, sia il bambino mostrano chiari segni di difficoltà. Nel primo caso, l’utero non è in grado di contrarsi in modo fisiologico; nel secondo caso, invece, per diverse ragioni, il bambino non si presenta in posizione cefalica (cioè con il viso e il corpo girati su un lato e il collo flesso, così da entrare più facilmente nel canale del parto).

In caso di parto distocico l’intervento può essere sia di tipo ostetrico (quando si utilizzano strumenti come la ventosa), sia di tipo chirurgico (quando è necessario ricorrere al cesareo).

Quando è il bambino a presentare delle difficoltà si parla di distocia meccanica; le condizioni più comuni di malposizionamento sono:

  • posizione occipitale posteriore: il bambino si trova con la testa rivolta verso il canale del parto ma in posizione supina, quindi con il corpo rivolto verso l’addome della mamma;
  • posizione podalica: il bambino si trova con i piedi o i glutei rivolti verso l’utero;
  • posizione trasversale: il bambino, pur trovandosi nella posizione corretta, ha una spalla bloccata nell’osso pubico della mamma.

I rischi del parto distocico

Il parto distocico non è una condizione rara ed eccezionale; se il personale medico è competente e, quindi, in grado di intervenire correttamente e tempestivamente, i rischi sono praticamente nulli.

Parto cesareo

Il parto cesareo consiste in un vero e proprio intervento chirurgico che prevede l’incisione dell’addome e dell’utero della mamma in anestesia locale. Tendenzialmente, si ricorre al parto cesareo in due occasioni:

problemi del bambino: sofferenza fetale, posizione podalica, cordone ombelicale problematico;
problemi della madre: parti cesarei precedenti, diabete gestazionale, placenta previa, apertura della cervice.

Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute, il ricorso al parto cesareo è notevolmente aumentato negli ultimi anni; lo stesso Ministero, tra l’altro, ha fornito indicazioni ben precise su quando sia preferibile praticare un taglio cesareo:

  • parto cesareo programmato: è previsto quando, intorno alla 38esima settimana di gravidanza, si rilevano anomalie nel feto o nella mamma che spingono a programmare la nascita in un determinato giorno;
  • parto cesareo d’urgenza: si esegue quando sorgono complicazioni durante il travaglio che coinvolgono sia la madre, che il bambino.

I vantaggi del parto cesareo

In merito al parto cesareo non è corretto parlare di veri e propri vantaggi, piuttosto di necessità; si tratta di un intervento chirurgico che viene eseguito solo e soltanto quando è l’unico modo per far nascere il bambino e preservare la sua salute e quella della madre. Altrimenti, è sempre preferibile un parto naturale.

Gli svantaggi del parto cesareo

Per quanto riguarda la mamma, gli svantaggi di un parto cesareo sono gli stessi di un qualsiasi intervento chirurgico: suture, medicazioni, ripresa più lenta e dolorosa. Ci si affatica sicuramente meno, dato che non bisogna spingere, e sul momento non si prova alcun dolore, ma nel post partum è necessario prestare molta attenzione.

Per quanto riguarda il bambino, invece, si può dire che non goda degli stessi vantaggi di chi nasce con parto naturale: mentre quest’ultimo ha più tempo per abituarsi alla vita fuori dall’utero, iniziando ad adattare il sistema respiratorio, cardiaco e neurologico durante il suo percorso nel canale del parto, il primo subisce quasi un trauma perché viene esposto improvvisamente in un mondo del tutto nuovo.

Ecco perché, non appena nati, i bambini vengono “sculacciati” (per far sì che piangano e, quindi, respirino) e subito poggiati sul petto della mamma, in modo da creare un rapporto sia fisico, sia psicologico tra loro.

Parto prematuro

Il parto prematuro si verifica quando il travaglio inizia oltre 3 settimane prima della presunta data del parto; in questa fase il corpo della mamma non è ancora pronto per affrontare il parto e il bambino non è del tutto sviluppato.

Le cause di un parto pretermine possono essere diverse:

  • ipertensione;
  • preeclampsia;
  • diabete;
  • disturbi della coagulazione del sangue;
  • problemi di salute o malformazioni del bambino.

I sintomi di un travaglio prematuro si riconoscono facilmente: perdite vaginali, contrazioni e/o crampi al basso ventre sono i principali, oltre che i più comuni.

I rischi del parto prematuro

Non tutti i bambini nati prematuramente presentano complicazioni ma, nascere molto presto, può causare problemi di salute sia a breve, sia a lungo termine. Alcune problematiche possono essere evidenti fin dalla nascita, mentre altre potrebbero svilupparsi in fase di crescita. Le principali sono:

  • difficoltà respiratorie: derivano da un sistema respiratorio ovviamente immaturo, quindi alcuni bambini possono sviluppare una patologia nota come displasia broncopolmonare;
  • problemi cardiaci: i più comuni sono il dotto arterioso pervio (PDA) e la bassa pressione sanguigna (ipotensione). Il primo consiste in un’apertura persistente tra l’aorta e l’arteria polmonare che può sistemarsi da solo ma, se non trattato adeguatamente, può comportare insufficienza cardiaca e altre complicazioni; la seconda, invece, può necessitare di qualche aggiustamento dei liquidi per via endovenosa, tramite farmaci e, a volte, attraverso trasfusioni di sangue;
  • problemi al cervello: più un bambino è prematuro e più si alza il rischio di sanguinamento nel cervello, conosciuto anche come emorragia intraventricolare. Per fortuna, la maggior parte di queste emorragie sono lievi e si risolvono da sole e in breve tempo;
  • difficoltà nella regolazione della temperatura corporea: alcuni bambini prematuri possono perdere velocemente il calore corporeo, a causa della scarsa presenza di quel grasso che un neonato a termine dovrebbe avere; di conseguenza, non riescono a regolare la temperatura e, di conseguenza, a contrastare ciò che perdono tramite la superficie del loro corpo. L’insorgere di ipotermia può provocare problemi respiratori e bassi livelli di zucchero nel sangue;
  • difficoltà gastrointestinali: i nati prematuri spesso non godono di sistemi gastrointestinali ben formati, quindi possono contrarre l’enterocolite necrotizzante (NEC). Si tratta di una condizione potenzialmente grave, che comporta un danneggiamento delle cellule che rivestono la parete intestinale, il che provoca difficoltà di nutrimento. I bambini che vengono allattati, però, hanno un rischio più basso di sviluppare la NEC;
  • problemi ematici: i bambini prematuri possono presentare anemia e ittero neonatale; la prima è una condizione molto comune in cui il corpo ha una scarsa quantità di globuli rossi, mentre il secondo si manifesta con una colorazione giallastra di pelle e occhi causata da un eccesso di bilirubina nel sangue;
  • complicazioni nel metabolismo: alcuni bambini nati pretermine possono presentare un livello di zuccheri nel sangue molto basso (ipoglicemia) e, al contempo, possono anche avere maggiori difficoltà nel convertire il glucosio in forme più semplici come il fruttosio;
  • problemi del sistema immunitario: i bambini prematuri hanno un sistema immunitario sottosviluppato, il che li espone a un maggior rischio di infezione. Bisogna fare molta attenzione perché, se l’infezione si diffonde nel flusso sanguigno, può sfociare in sepsi.

Per fortuna, è possibile prevenire un parto pretermine attraverso controlli periodici e costanti, monitoraggio settimanale e massima attenzione da parte della futura mamma. Inoltre, la maggior parte delle complicanze che coinvolgono i bambini prematuri sono, al giorno d’oggi, abbastanza risolvibili e non comportano conseguenze gravi o irreparabili.

Parto VBAC (parto naturale dopo un cesareo)

Secondo il pensiero comune, non è possibile affrontare un parto naturale dopo un parto cesareo. A smentire questa convinzione è lo stesso Ministero della Salute, che concede a tutte le donne di partorire naturalmente, anche dopo un precedente parto cesareo.

In questo caso si parla di VBAC, cioè Vaginal Birth After Cesarean (parto vaginale dopo cesareo), sul quale molti esperti mantengono delle riserve, dato che potrebbe non andare a buon fine. Di conseguenza, si parla di travaglio di prova o TOL (trial of labor) che potrebbe concludersi o con un parto naturale, o con un nuovo parto cesareo.

Le statistiche sono molto promettenti e positive: le donne che sono riuscite a partorire naturalmente dopo un parto cesareo oscillano tra il 60% e l’80%. In ogni caso, i ginecologi raccomandano di far passare almeno un anno dal parto cesareo prima di affrontare un parto naturale, in modo da evitare che la cicatrice del precedente intervento chirurgico di laceri.

I rischi del parto vaginale dopo il parto cesareo

Il principale rischio del VBAC è la rottura dell’utero, una complicanza che non può essere predetta in alcun modo insieme alle eventuali complicanze anche per il nascituro. Tra le conseguenze più note e frequenti rientrano:

  • bradicardia fetale;
  • sanguinamento vaginale;
  • dolore;
  • anomalie della contrazione uterina.

Inoltre, alcuni fattori influiscono sul rischio di rottura:

  • età della madre;
  • condizione di sovrappeso e/o obesità;
  • numero dei precedenti cesarei;
  • induzione del travaglio.

Di conseguenza, se i parti precedenti sono avvenuti tutti naturalmente, si ha sicuramente una condizione ottimale e maggiormente protetta e sicura.

Parto in acqua

Sono sempre più numerose le donne che scelgono di partorire in acqua e i motivi sono molto diversi tra loro: c’è chi lo sceglie per alleviare il dolore, chi per rilassarsi, chi per evitare di recarsi in ospedale.

Su questo, gli studi in merito sono piuttosto favorevoli: immergersi in una vasca colma d’acqua durante il travaglio ha un effetto distensivo sul corpo della futura mamma, quindi si riduce anche il ricorso all’anestesia epidurale.

Ovviamente, per procedere con un parto in acqua è assolutamente necessario che:

  • sia la mamma, sia il bambino godano di ottima salute;
  • il travaglio proceda nella norma;
  • la gravidanza sia al suo termine naturale e non sia a rischio;
  • il bambino si trovi in posizione cefalica.

La vasca destinata al parto è alta, solitamente, 70 centimetri e viene riempita con acqua calda a una temperatura di circa 36° nella fase prodromica, che va ad aumentare a 37° in procinto della fase espulsiva.

I vantaggi del parto in acqua

Come accennato, il principale vantaggio del parto in acqua consiste nel creare un contesto rilassante e distensivo per la mamma, in grado di alleviare il suo dolore e rendere travaglio e parto meno sofferenti. Ma non solo:

  • riduce i tempi del travaglio;
  • permette alla mamma di controllare meglio il proprio corpo;
  • fa risparmiare energia e diminuisce la fatica;
  • diminuisce la richiesta di epidurale e farmaci analgesici;
  • ammorbidisce i tessuti, quindi riduce le lacerazioni perineali;
  • abbassa il bisogno di incrementare l’ossitocina sintetica.

Inoltre, immersa nell’acqua, la futura mamma ha più libertà di movimento: il suo bacino è più mobile, il che favorisce la correzione di eventuali malposizioni fetali e facilita il viaggio del bambino attraverso il canale del parto.

L’acqua, poi, ha anche importanti effetti emodinamici: il galleggiamento sostiene il peso della mamma riducendo la sua opposizione alla gravità, quindi diminuisce la pressione addominale sulla vena cava e sull’aorta andando a migliorare la circolazione feto-placentare. L’immersione in acqua, infine, favorisce l’incremento dell’ormone natriuretico, cioè l’ormone secreto delle cellule cardiache atriali, che contribuisce all’eliminazione del sodio attraverso i reni e stimola la diuresi, andando così ad abbassare la pressione arteriosa.

Non mancano, ovviamente, i benefici anche e soprattutto per il bambino:

  • in acqua, la circolazione fetale migliora;
  • nascendo in acqua può passare in modo graduale dalla vita intrauterina a quella extrauterina;
  • i suoi primi sforzi respiratori sono facilitati dall’umidità tipica dell’ambiente acquatico;
  • l’acqua calda previene l’ipotermia.

Parto in casa o parto a domicilio

Oltre al parto in acqua, anche il parto in casa sta diventando sempre più popolare; si tratta di una scelta che, ovviamente, può essere compiuta solo in determinate situazioni e viene molto apprezzata da quei genitori che sia per comodità, sia per privacy preferiscono vivere un momento così intimo e speciale tra le mura della propria casa.

Per partorire in casa è fondamentale la presenza di un’ostetrica esperta (per questo si parla anche di parto a domicilio), l’unica in grado di poter fornire supporto costante durante le diverse fasi del parto e di monitorare lo stato di salute di mamma e figlio per intervenire in caso di emergenza.

Il parto in casa richiede preparazione e pianificazione da parte di entrambi i genitori, che devono conoscere tutti i rischi del caso, oltre ai numerosi benefici, e devono essere disposti a farsene carico.

I vantaggi del parto in casa o parto a domicilio

Una futura mamma che decide di partorire in casa propria ha sicuramente la possibilità di sentirsi libera (di piangere, di urlare, di assumere la posizione che più preferisce); ma i vantaggi di questa tipologia di parto non finiscono qui:

  • è un metodo economico, dato che si risparmiano i costi di un’eventuale clinica o di un ricovero ospedaliero;
  • il recupero è più veloce;
  • non si presentano, generalmente, rischi legati alla chirurgia;
  • la partoriente perde, tendenzialmente, meno sangue.

Prima di partorire in casa con la supervisione si un’ostetrica esperta, però, i ginecologi raccomandano di:

  • valutare le condizioni di salute sia della mamma, che del bambino;
  • assicurarsi che l’ospedale più vicino non richieda oltre i 15 minuti di trasporto.

Gli svantaggi del parto in casa o parto a domicilio

Il parto in casa è assolutamente sconsigliato se la gravidanza è a meno di 37 settimane oppure oltre le 42; in caso di anticipo o ritardo, infatti, è obbligatorio andare in ospedale.

Inoltre, è doveroso rinunciare al parto a domicilio (anche in extremis) nel caso in cui il bambino dovesse presentarsi in posizione podalica e se dovessero insorgere ulteriori complicazioni nel corso del travaglio.

Parto indolore

Partorire senza dolore è possibile: grazie al parto indolore, infatti, si pratica l’anestesia epidurale somministrata tramite un catetere introdotto nello spazio epidurale. La partoriente, svanito il dolore, riesce ad avere maggiore controllo sul suo corpo ed è in grado di vivere il momento il più serenamente possibile.

Per eseguire l’epidurale, la futura mamma assume una posizione seduta o su un fianco; l’ago viene inserito, solitamente, nella parte medio-bassa del legamento giallo, mentre il catetere deve essere morbido per non provocare danni al suo passaggio.

L’anestetico, una volta iniettato, entra a contatto con le radici spinali, impedendo loro di trasmettere la sensazione di dolore. La donna, però, mantiene la possibilità di potersi muovere.

I vantaggi del parto indolore

Il principale vantaggio del parto indolore consiste, ovviamente, nel non provare alcuna sofferenza; la futura mamma si libera dal dolore e può concentrarsi pienamente sulla nascita del suo bambino. Al contempo:

  • l’analgesia epidurale preserva la sensibilità alle contrazioni, che vengono avvertite come stimoli non dolorosi, la capacità di movimento e la possibilità di spingere adeguatamente per far venire alla luce il bambino;
  • la mamma è più rilassata e soprattutto più disponibile, quindi può collaborare attivamente e coscientemente alla nascita;
  • l’epidurale si può somministrare in qualsiasi momento del travaglio;
  • il catetere posizionato sulla schiena non reca alcun disagio e non impedisce i movimenti;
  • i farmaci somministrati non influiscono in alcun modo sulla salute del bambino e sono perfettamente compatibili con l’allattamento al seno.

Gli svantaggi del parto indolore

Se, da una parte, il bello del parto indolore consiste nel non provare alcuna sofferenza, dall’altra esistono comunque degli aspetti negativi da tenere in considerazione:

  • l’epidurale, a volte, può comportare un calo di pressione nella partoriente, costringendola ad affrontare il travaglio distesa a letto senza poter scegliere una posizione più comoda;
  • eliminando o riducendo il dolore, l’epidurale altera i meccanismi ormonali del travaglio, quindi blocca la secrezione di endorfine e riduce la produzione di ossitocina (tanto che si rivela necessario somministrarla per stimolare le contrazioni);
  • se l’ago dovesse accidentalmente pungere la membrana durale, cioè quella che custodisce il midollo spinale, dopo il parto potrebbe insorgere una forte cefalea, della durata di ore o giorni, abbastanza invalidante (si tratta, comunque, di un caso molto raro);
  • la somministrazione dell’epidurale coincide con un uso frequente di parti operativi che, quindi, utilizzano ventose e altri strumenti di supporto;
  • dopo l’epidurale, il supporto dell’ostetrica non deve essere necessariamente costante, quindi la partoriente potrebbe ritrovarsi ad affrontare il parto da sola in preda alle sue ansie e alle sue paure.

Parto con luce biodinamica

Ecco una tecnica innovativa di recente introduzione: il parto con luce biodinamica, così chiamato proprio perché utilizza la luce come mezzo per aiutare la partoriente a superare le fasi più complicate del parto. In pratica, il metodo sfrutta gli effetti positivi che ha la luce sulla fisiologia umana, in particolare sulla sua capacità di aumentare l’ossitocina (il famoso ormone responsabile delle contrazioni uterine).

Durante il parto, viene utilizzata una fonte luminosa per illuminare l’ambiente intorno alla partoriente; attraverso la cromoterapia è possibile migliorare il suo umore e alleviare il suo dolore. A volte la luce biodinamica viene impiegata insieme ad altre tecniche di sollievo dal dolore, come le piscine o gli oli essenziali.

Come in altri casi, anche il parto con luce biodinamica non è adatto a tutte le future mamme; coloro che presentano delle complicazioni o che non godono di ottima salute, infatti, devono necessariamente optare per tipologie di parto tradizionali o che, al momento opportuno, possano intervenire chirurgicamente per garantire la sicurezza sia della mamma, che del bambino.

Parto in centro nascita

Infine, le future mamme possono scegliere di non partorire in ospedale, ma neanche in casa, facendo ricadere la loro scelta sui centri nascita: si tratta di strutture di piccole dimensioni, meno ospedalizzate, che propongono un parto molto familiare senza tuttavia dover rinunciare ai comfort sanitari fondamentali per la salute di mamma e figlio.

In Italia esistono tre livelli di centri nascita ai quali ogni donna può fare riferimento per affrontare il parto:

  • centri di I livello: sono i cosiddetti Hub, dove si gestiscono le gravidanze non a rischio, cioè quelle con età gestazionale superiore a 35 settimane;
  • centri di II livello: sono gli Spoke, in grado di gestire anche i parti a rischio;
  • centri di III livello: sono dotati anche di reparti di terapia intensiva e subintensiva neonatale.

I vantaggi del parto in centro nascita

Ciò che spinge principalmente una donna a rivolgersi a un centro nascita è l’umanizzazione del parto: nell’apposita sala si viene a creare un ambiente familiare, personalizzato e altamente empatico che consente alla futura mamma di rilassarsi e vivere serenamente la gioia di mettere al mondo il suo bambino.

Al contempo, queste strutture fanno a meno dell’esagerata medicalizzazione tipica degli ospedali, quindi il ricorso a ventose o epidurali, ponendo la donna al centro e prestandole tutte le attenzioni che merita. Ovviamente il personale è qualificato e specializzato, quindi può intervenire in qualsiasi momento.

BUON PARTO !!!

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